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Talassemia, dal Vanvitelli di Napoli una nuova speranza

Talassemia, dal Vanvitelli di Napoli una nuova speranza

Il nome anemia mediterranea deriva dalla diffusione di questa malattia ereditaria soprattutto nelle aree che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, tra cui le aree del Nord Africa e del Medio Oriente. Esistono diversi tipi di talassemia: in Africa è più diffusa l’alfa talassemia (ridotta sintesi di catene alfa), mentre nel bacino del Mediterraneo è più diffusa la beta talassemia (ridotta sintesi delle catene beta), detta per questo anche “anemia mediterranea”; sono circa 7000 i pazienti in Italia, e in 600 di loro la talassemia coesiste con la drepanocitosi (conosciuta anche con il nome di anemia falciforme).

Che cos’è l’anemia mediterranea

Anche nota come talassemia o anemia di Cooley, è una malattia del sangue molto grave che impedisce la corretta produzione delle proteine che compongono l’emoglobina, componente dei globuli rossi che permette il trasporto di ossigeno verso tessuti, organi e muscoli. La causa dell’anemia mediterranea è un difetto genetico ereditario, che quindi passa dai genitori ai figli. La mutazione genetica causa una distruzione precoce dei globuli rossi, una minore presenza di emoglobina e quindi una scarsa ossigenazione di tessuti, organi e muscoli che porta stanchezza e scarsa crescita. Nelle forma più grave (major) entrambi i geni sono coinvolti nella catena beta e il neonato sviluppa i sintomi di un’anemia severa dopo i primi due anni di vita. Sin dalla nascita il neonato può soffrire di ittero e di scarso accrescimento. Successivamente, svilupperà un’anemia grave anche nota come anemia di Cooley, con sintomi come debolezza, pallore, ittero, deformità delle ossa del viso (per il coinvolgimento del midollo osseo), crescita lenta, gonfiore addominale, urine scure. Talvolta ingrossamento della milza (splenomegalia). Chi soffre di talassemia deve sottoporsi a frequenti trasfusioni di sangue.

Una nuova speranza

Ci sono però buone notizie per i circa 7000 italiani affetti da talassemia, e soprattutto per i 4000 di loro che sono costretti a dipendere da continue trasfusioni di sangue. Per tutte queste persone, una speranza arriva da due studi pubblicati di recente su prestigiose riviste internazionali, Blood e Nature Medicine: si tratta di due sperimentazioni condotte dal Centro di cura delle Talassemie ed Emoglobinopatie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Vanvitelli di Napoli, insieme ad altri istituti italiani ed esteri.

La terapia genica per la talassemia

“Il trattamento prevede il trasferimento del gene sano all’interno delle cellule del paziente, in modo da compensare il difetto genetico e tentare la guarigione completa”, precisa il prof. Perrotta. “Si tratta, in sostanza, di una sorta di auto-trapianto, in cui le cellule del paziente vengono prelevate, modificate in laboratorio e reinfuse nel paziente stesso una volta corrette”.

La terapia genica – spiega Perrotta – si è dimostrata sicura ed efficaceGli adulti trattati, a quasi 3 anni distanza, hanno riportato una riduzione significativa del numero di trasfusioni necessarie alla gestione della malattia, e in 3 dei soggetti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo”.

“E’ la prima volta che la terapia genica è stata utilizzata in pazienti pediatrici talassemici – conclude Perrotta – e i risultati di questo studio sembrerebbero dimostrare una maggiore efficacia nei bambini rispetto agli adulti, forse perché i bambini sono più protetti dal potenziale danno d’organo che si sviluppa col passare degli anni di malattia”.

A testimoniare le ampie potenzialità di questa strategia terapeutica è la recente notizia che il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha raccomandato l’approvazione della terapia genica precedentemente nota come LentiGlobin, avallandone l’impiego in pazienti con talassemia trasfusione-dipendente, età superiore ai 12 anni e genotipo non beta0/beta0. Ora, affinché la terapia sia ufficialmente autorizzata, occorrerà attendere che il parere favorevole del CHMP sia confermato dalla Commissione Europea.

Fonte: Osservatorio Malattie Rare

Le informazioni fornite in questo articolo hanno natura generale e sono pubblicate a scopo puramente divulgativo, pertanto non possono sostituire in alcun caso il parere del medico

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