Deglutire, che fatica!
Deglutire è un gesto che facciamo decine di volte al giorno. Come sbattere le palpebre o muovere le gambe per camminare, è uno degli atti che il nostro organismo compie con maggior naturalezza. Pensare che possa essere problematico fino a diventare grave riesce difficile: eppure, è così per almeno 500 mila italiani.
Il disturbo della deglutizione
Tante, infatti, sono le persone che nel nostro Paese soffrono di disfagia, cioè di un disturbo della deglutizione che consiste in una difficoltà di progressione del bolo alimentare dalla bocca allo stomaco, provocata da anomalie funzionali o strutturali della faringe, dell’esofago, della cavità orale o del cardias.
La disfagia può essere molto dolorosa, arrivando a determinare una sorta di impossibilità di immettere cibo o bevande nell’organismo e condannando chi ne soffre a non potersi nutrire. In questi casi – e comunque in quelli meno gravi – è probabile che chi ne soffra non riesca a individuare con precisione la natura del problema: al di là dei 500 mila menzionati, ci sono molti altri cui non è stata fornita alcuna effettiva diagnosi, e che magari pensano che quella difficoltà di deglutizione faccia riferimento a condizioni di altro tipo, per guarire dalle quali chiedono comunque di essere curate o ricoverate in ospedale. Con tutti i costi sociali che ne conseguono.
Identikit della Disfagia
La disfagia ha invece un identikit preciso. Anzitutto, va detto che tra chi ne soffre c’è una preponderanza di over 50 (il 14%). Quanto alle cause, se ne possono distinguere vari tipi:
– neurologiche (neoplasie, traumi cranici, Alzheimer, Parkinson, esiti di ictus)
– iatrogene. Sono quelle che conseguono a una terapia medica, e fanno sorgere il disturbo in concomitanza con terapie farmacologiche particolarmente invasive (chemioterapia, assunzione di neurolettici)
– infettive
– metaboliche, ovvero legate a un malfunzionamento del metabolismo
– miopatiche, per le quali a malfunzionare è l’apparato muscolare
Capire la disfagia non è facile. Di sicuro, una ripetitiva difficoltà di deglutizione è il più evidente segnale che qualcosa non funzioni; tuttavia, può non essere sufficiente a far scattare quel campanello d’allarme necessario ad avviare le cure del caso.
I campanelli d’allarme
Oltre alla difficoltà ripetuta nel deglutire, altri segnali da considerare sono la tosse durante i pasti o episodi di febbre. E anche il cambiamento delle abitudini alimentari. Si tratta però di segnali difficili da comprendere, che se trascurati possono portare a conseguenze gravi: su tutte, come accennato all’inizio, la malnutrizione, espressa da calo ponderale e disidratazione. La disfagia, infatti, non riguarda solo l’ingestione di cibi solidi ma anche i liquidi.
Perdere la via della deglutizione
Un’altra conseguenza da non sottovalutare riguarda le vie aeree superiori, che possono essere interessate da infezioni o polmoniti: non riuscendo a trovare la corretta via della deglutizione, cibo e bevande finiscono per sconfinare proprio nelle vie aeree.
Quali medici
Se emergono sintomi, è quindi opportuno rivolgersi a centri medici che possano comprendere se si sia in presenza di disfagia o meno. Questa patologia chiede infatti di essere gestita in modo multidisciplinare, rivolgendosi a un foniatra o, in alternativa, a un otorinolaringoiatra o a un medico specializzato in deglutologia. Dopo la loro diagnosi, nella cura della disfagia possono intervenire altri esperti, quali logopedisti, nutrizionisti, o dietisti.
La terapia
E a proposito di dieta, una terapia nutrizionale pensata sulle precise esigenze del paziente è la soluzione corretta al problema. Alcune tipologie di alimenti, infatti, vanno evitate accuratamente: cibi duri, friabili e secchi, alimenti sminuzzati, ortaggi e frutti filamentosi. Chi soffre di disfagia deve prediligere alimenti compatti, omogenei e poco viscosi. Sul fronte dei liquidi, i rimedi più adatti consistono in bevande gelificate e additivi come addensanti in polvere.
Problema nascosto e impattante, la disfagia può tuttavia essere individuata con successo. A patto di capirla per tempo e di non confonderla con altre condizioni.
Fonte: starbene.it
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